jueves, 18 de febrero de 2016

Il sapore amaro della carne


La mostra “Biolencia Hepidé® mica” che si terrà alla Twin Gallery di Madrid dal 14 gennaio al 13 febbraio 2016 presenta le opere dell’artista spagnolo Manuel Franquelo Giner.
Lo spazio espositivo scelto per la presentazione dell’opera dell’artista è uno spazio ristretto e intimo, una galleria composta unicamente da una sala, una scrivania e le pareti totalmente bianche. La mostra si compone di sette opere- disegno, scultura, installazioni e fotografia- che per uno spazio così ristretto, il numero delle opere e la loro vicinanza, potrei dire che produce quasi un effetto di sovrabbondanza, che potrebbe causare confusione nello spettatore. In effetti, in un primo momento la mia prima reazione è stata di confusione al cospetto di opere, che in contrasto con le pareti bianche della sala, presentano un predominio del rosso, il rosso della carne, il rosso del sangue. Dopo aver girato lo sguardo, e aver ammirato in modo sommario e poco attento ciò che mi circondava, i miei occhi sono approdati al cospetto di un’opera, una scultura, che occupa giusto il centro della sala e dove dall’alto pendono con delle corde, corpi di agnelli morti, realizzati interamente con cioccolato. Tutto ciò mi ha causato un certo sconcerto e sono sicura che se non avessi avuto la fortuna di poter incontrare personalmente l’artista, non avrei mai capito il significato di tutto ciò.
Manuel (un ragazzo di soli ventisei anni) ci ha illustrato e spiegato la mostra, spiegazione che per me è stata fondamentale per la piena (o quasi) comprensione delle sue opere, ma soprattutto delle sue idee, delle sue preoccupazioni e perché no, anche un po’ del suo mondo. Attraverso immagini o installazioni, come per esempio la foto di un pezzo di carne all’interno di una base di un computer, o la foto di un vecchio tagliere su cui si vedono le tracce lasciate dal coltello e il colore sbiadito del sangue della carne, o una fetta di bacon artificiale, appesa con delle pinze, dell’altezza di 2.3 metri, Manuel ci mostra una parte della realtà contemporanea, in cui è sempre più difficile marcare un confine tra ciò che è naturale e biologico e ciò che è artificiale e costruito, in cui addirittura queste due parti sembrano fondersi e compenetrarsi l’una con l’altra, facendo sì che l’artificiale arrivi fino a noi e soprattutto dentro di noi, nella nostra pelle. Ogni singola opera mostra un pensiero diverso, un’idea tanto personale dell’artista quanto teorica. L’artista dunque, che come spiega personalmente è un appassionato di teoria dell’arte e di filosofia contemporanea, riesce a fondere preoccupazioni personali sul mondo che lo circonda con le più conosciute teorie di filosofi e teorici come per esempio Michel Foucault o di artisti come Nauman o Marc Queen, affrontando così discorsi e problematiche come l’essere umano come sistema operativo o la manipolazione psicologica attuata dai sistemi di governo che detengono il potere che attraverso la pubblicità o la propaganda ci fanno credere che ormai un desiderio è una necessità (e non viceversa). Prendiamo in esame la scultura con gli agnelli morti di cioccolato appesi: cosa vorrà mai dire? D’impatto potrebbe causare ribrezzo una visione del genere, ma poi scopriamo che sono fatti di cioccolato, che si può addirittura mangiare, ed è anche buono. L’idea che c’è dietro a quest’opera è la trasformazione di qualcosa che a primo impatto sembra disgustoso e che poi attraverso un’esortazione noi ci convinciamo a gustare e apprezzare. L’analogia con i meccanismi di propaganda è lampante. Non è solo una scultura, è un’esperienza che fino a che non si assapora il delizioso cioccolato non si potrà comprendere fino in fondo.
Manuel si mostra come un attuale artista post-concettuale, intellettuale, teorico e anche conoscitore delle moderne tecnologie che ci propongono un’arte in continuo mutamento.
 Il nuovo, che come la sua mostra, deve essere scoperto.

                                                                                                                           Maria Giulia Rinaldi

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