La mostra “Biolencia Hepidé® mica” che si terrà
alla Twin Gallery di Madrid dal 14 gennaio al 13 febbraio 2016 presenta le
opere dell’artista spagnolo Manuel Franquelo Giner.
Lo spazio espositivo scelto per la presentazione
dell’opera dell’artista è uno spazio ristretto e intimo, una galleria composta
unicamente da una sala, una scrivania e le pareti totalmente bianche. La mostra
si compone di sette opere- disegno, scultura, installazioni e fotografia- che per
uno spazio così ristretto, il numero delle opere e la loro vicinanza, potrei
dire che produce quasi un effetto di sovrabbondanza, che potrebbe causare
confusione nello spettatore. In effetti, in un primo momento la mia prima
reazione è stata di confusione al cospetto di opere, che in contrasto con le
pareti bianche della sala, presentano un predominio del rosso, il rosso della
carne, il rosso del sangue. Dopo aver girato lo sguardo, e aver ammirato in
modo sommario e poco attento ciò che mi circondava, i miei occhi sono approdati
al cospetto di un’opera, una scultura, che occupa giusto il centro della sala e
dove dall’alto pendono con delle corde, corpi di agnelli morti, realizzati
interamente con cioccolato. Tutto ciò mi ha causato un certo sconcerto e sono
sicura che se non avessi avuto la fortuna di poter incontrare personalmente
l’artista, non avrei mai capito il significato di tutto ciò.
Manuel (un ragazzo di soli ventisei anni) ci ha
illustrato e spiegato la mostra, spiegazione che per me è stata fondamentale
per la piena (o quasi) comprensione delle sue opere, ma soprattutto delle sue
idee, delle sue preoccupazioni e perché no, anche un po’ del suo mondo.
Attraverso immagini o installazioni, come per esempio la foto di un pezzo di
carne all’interno di una base di un computer, o la foto di un vecchio tagliere
su cui si vedono le tracce lasciate dal coltello e il colore sbiadito del
sangue della carne, o una fetta di bacon artificiale, appesa con delle pinze,
dell’altezza di 2.3 metri, Manuel ci mostra una parte della realtà
contemporanea, in cui è sempre più difficile marcare un confine tra ciò che è
naturale e biologico e ciò che è artificiale e costruito, in cui addirittura
queste due parti sembrano fondersi e compenetrarsi l’una con l’altra,
facendo sì che l’artificiale arrivi fino a noi e soprattutto dentro di noi,
nella nostra pelle. Ogni singola opera mostra un pensiero diverso, un’idea
tanto personale dell’artista quanto teorica. L’artista dunque, che come spiega
personalmente è un appassionato di teoria dell’arte e di filosofia
contemporanea, riesce a fondere preoccupazioni personali sul mondo che lo
circonda con le più conosciute teorie di filosofi e teorici come per esempio
Michel Foucault o di artisti come Nauman o Marc Queen, affrontando così
discorsi e problematiche come l’essere umano come sistema operativo o la
manipolazione psicologica attuata dai sistemi di governo che detengono il
potere che attraverso la pubblicità o la propaganda ci fanno credere che ormai
un desiderio è una necessità (e non viceversa). Prendiamo in esame la scultura
con gli agnelli morti di cioccolato appesi: cosa vorrà mai dire? D’impatto
potrebbe causare ribrezzo una visione del genere, ma poi scopriamo che sono
fatti di cioccolato, che si può addirittura mangiare, ed è anche buono. L’idea
che c’è dietro a quest’opera è la trasformazione di qualcosa che a primo
impatto sembra disgustoso e che poi attraverso un’esortazione noi ci
convinciamo a gustare e apprezzare. L’analogia con i meccanismi di propaganda è
lampante. Non è solo una scultura, è un’esperienza che fino a che non si
assapora il delizioso cioccolato non si potrà comprendere fino in fondo.
Manuel si mostra come un attuale artista
post-concettuale, intellettuale, teorico e anche conoscitore delle moderne
tecnologie che ci propongono un’arte in continuo mutamento.
Il nuovo, che come
la sua mostra, deve essere scoperto.
Maria Giulia Rinaldi
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