Juan Muñoz. Galería Elvira González. Madrid.
20/01-30/03 2016
La galleria Elvira Gonzalez ospiterà dal 20 gennaio al 30
marzo 2016 alcune delle opere dell'artista Juan Muñoz. Juan Muñoz (1953-2001), artista
spagnolo nato a Madrid, si distingue nella sua carriera artistica come scultore
e ottiene una fama internazionale, lavorando a contatto con artisti come per
esempio Richard Serra a New York. Nel 2000 riceve il Premio Nazionale delle
Arti Plastiche e sarà il primo artista spagnolo invitato a lavorare nella Tate
Modern di Londra.
La sua opera si caratterizza per la preoccupazione nella
ricerca dell'articolazione spaziale, sentimenti come la solitudine, per la
quale tratta spesso nelle sue sculture la figura umana, la mancanza di
comunicazione e la riflessione sull'identità delle singole persone.
Attraverso il percorso (non troppo chiaro) della mostra
nella Galleria Elvira Gonzalez, nella quale non si presentano un gran numero di
opere a causa anche dello spazio limitato della galleria stessa, si riesce
comunque ad apprezzare e a fruire della qualità e delle tematiche esposte
dall'artista, che pur giocando come ben sappiamo con l'articolazione e il
concetto spaziale all'interno delle opere stesse, e che le galleriste sono
riuscite a mantenere fedelmente al disporre e distribuire le opere nelle
diverse piccole sale.
La mostra si compone di opere scultoree, stampe e dipinti,
ma le opere più rilevanti sono quelle scultoree, specialità dell'artista. Fin
da subito nella loro contemplazione si apprezza la grandissima qualità tecnica
con cui l'artista lavora materiali come il bronzo, la resina di poliestere e
acciaio che gli permettono di ottenere una cura minuziosa nei dettagli
espressivi dei volti e negli indumenti dei personaggi rappresentati. Questa
realtà tecnica però si scontra con la realtà dei personaggi, in generale questi
non presentano caratterizzazioni che permettono di distinguerli l'uno
dall'altro, si tratta per lo più di figure anonime, umili, semplici, che
indossano indumenti molto sobri e che presentano dei profili orientali o
africani. Nell'opera "Sin título" (2001) i due personaggi
apparentemente uguali si specchiano e sorridono. Il sorriso che presentano però
è un sorriso finto, quasi forzato, e sembra essere forzato proprio dal secondo
uomo che trattiene quello davanti a sé, quasi come se davanti allo specchio si
creasse uno spazio di intimità nell'individuo, in cui la sua persona si sdoppia
ed esce fuori il suo alter ego che lo
obbliga a sorridere, di scegliere un'apparenza felice quando in realtà dietro a
quel sorriso c'è tutto all'infuori che felicità. In apparenza felicità, in
realtà solitudine.
A tutto ciò ne consegue uno stato di alienazione
dell'individuo, completamente chiuso in sè stesso, dissociato dalla realtà. Lo
stesso stato di alienazione che presenta l'opera a fianco "Balcón con
figura de un chino". Una scultura rappresentante un uomo con tratti
orientali realizzata in terracotta situata all'interno di un piccolo recinto di
ferro. Lo sguardo del personaggio è perso verso il nulla, ora le forti
espressioni dell'opera precedente sono totalmente annullate in un'espressività
del volto inesistente, un vero e proprio blocco di terracotta, separato dal
pubblico e dal mondo da un recinto di ferro. L'artista, sfruttando anche la
spazialità dell'opera, sembra stia montando un palcoscenico di un teatro in cui ogni personaggio recita una parte.
All'inizio non tutto può sembrare chiaro, ma è proprio questo il punto. Non
sfruttare l'evidenza dell'apparenza, ma capire attraverso dei piccoli indizi
cosa c'è dietro alla maschera di
questi personaggi uguali, chi c'è veramente dietro a quei finti sorrisi? Chi
c'è dietro allo specchio? Un continuo gioco di rimando tra apparenza e realtà.
L'illusione di una vita felice che culmina inevitabilmente, in Two figures one laughing at one hanging,
nel dolore, nella fine della vita. Questa volta il nostro alter ego ride di noi. Rappresenta la tragicomicità della vita.
Allo spettacolo contribuiscono a creare l'ambientazione dei quadri raffiguranti
dei mobiliari (Mobiliario VII, IX,
XI), oggetti che rappresentano l'intimità della casa, posti su sfondo nero,
decontestualizzati e che presentano posizioni irreali in cui gli oggetti sono
in bilico, immagino come tutti noi sul filo della vita.
Al di là dell'apprezzamento dell'opera di Muñoz, la
mostra in sè rischia di essere non troppo chiara ai visitatori, per quanto
riguarda la rassegna stampa e i nomi delle opere bisogna recarsi alle scrivanie
delle galleriste dove si trovano due semplici fogli che ci proporzionano giusto
qualche informazione sulla mostra e sull'artista, nulla però è indicato da
nessuna parte e le galleriste di certo non hanno aiutato molto data la loro
noncuranza del pubblico che vi era nella galleria al momento della mia visita.
Maria Giulia Rinaldi
No hay comentarios:
Publicar un comentario